Ridefinire l’arte della fotografia: dialogo con Incontri di Fotografia
Incontri di Fotografia è più di una semplice organizzazione artistica; è una piattaforma visionaria che sfida le prospettive convenzionali sulla fotografia, l’istruzione e la pratica artistica. Fondata da Valeria Pierini nel cuore dell’Umbria, ma risuonando in tutto il panorama culturale italiano, l’iniziativa va oltre i limiti del discorso fotografico tradizionale abbracciando le intersezioni tra arte visiva e altre forme espressive. Spinta dalla convinzione che la vera crescita artistica nasca dalla consapevolezza e dallo scambio interdisciplinare, Incontri di Fotografia si dedica a guidare i partecipanti verso un coinvolgimento più profondo e consapevole con il mezzo fotografico.
Al centro della filosofia dell’organizzazione c’è l’impegno per la sostenibilità e la circolarità nelle arti, principi che modellano non solo il suo approccio alla gestione dei progetti e alla programmazione educativa, ma anche la sua visione più ampia di come le pratiche artistiche dovrebbero operare nella società. Evitando modelli di sfruttamento che richiedono compensi senza reciprocità, Incontri di Fotografia sostiene un paradigma alternativo: fondato sull’autoproduzione, sulla collaborazione significativa e sull’impegno etico con le comunità e gli ecosistemi culturali. Il loro lavoro sostiene un modello di fotografia che funge da risorsa e servizio, enfatizzando le connessioni umane rispetto alla mercificazione.
In questa conversazione, esploriamo l’etica dietro Incontri di Fotografia con la fondatrice Valeria Pierini e il suo team, Marco De Ieso, Anasuya Ples e Martina Biancarini, approfondendo le pratiche e i valori che distinguono l’organizzazione. Discutiamo le loro diverse offerte, dai workshop pratici e servizi di gestione dei progetti alla curatela di mostre e al lavoro editoriale, ognuna realizzata con l’obiettivo di sbloccare il potenziale creativo dei fotografi a tutti i livelli, dai principianti ai professionisti esperti. Attraverso processi co-creativi, i partecipanti sono incoraggiati a esplorare nuove possibilità estetiche e concettuali, scoprendo i propri percorsi unici nel mondo dell’arte.
L’intervista riflette anche sull’impegno dell’organizzazione nel rendere le arti più accessibili e nel promuovere l’innovazione artistica. Allineando la pratica della fotografia ai principi dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile, Incontri di Fotografia cerca di sfidare le narrazioni prevalenti sull’autorialità, sul lavoro artistico e sul significato culturale della fotografia. Il team condivide approfondimenti su come costruiscono reti di scambio e supporto tra varie comunità, spingendo per una visione più egualitaria e socialmente consapevole del mondo dell’arte. Mentre approfondiamo la loro storia, scopriamo come Incontri di Fotografia non solo sta ridefinendo i confini della fotografia, ma sta anche trasformando il modo in cui comprendiamo il suo ruolo nella società. Questa intervista è un viaggio nel cuore di un’organizzazione che sostiene la creatività, l’autenticità e le pratiche etiche al servizio della crescita artistica e dell’arricchimento culturale.
1. Valeria, in qualità di fondatrice e direttrice artistica, cosa ti ha spinto a creare Incontri di Fotografia? Cosa rappresenta per te la fotografia a livello personale e professionale?
La fotografia per me è una scusa per approfondire materie che mi interessano, un modo di osservare, accogliere il mondo e restituirlo attraverso la mia visione, pertanto non vivo una separazione tra la vita personale e professionale. Non credo che il mio business funzionerebbe se ci fosse una separazione netta, da artista e direttrice artistica non cambia: ciò che offro è chi sono, la mia visione. Trovo che la fotografia sia anche un grande strumento antropologico attraverso il quale l’umanità esplora, conosce se stessa e si ri-conosce. Questi due punti mi spingono a fare ricerca artistica e anche a voler condividere il mio lavoro, e la fotografia, più in generale, divulgandoli. La divulgazione della fotografia si fa con la didattica e con eventi, formando le persone che hanno voglia di approfondire e praticare la fotografia, sono queste poi che creano bellezza, vanno nei musei e acquistano opere (libri, stampe) e creano, insieme agli appassionati non per forza fotografi, il sistema economico in cui i fotografi lavorano. E’ socialmente virtuoso coltivare il pubblico della cultura. Credo che la migliore cosa per avere un mercato sia anche formarselo, specie se vieni dalla provincia dove gli esempi di cultura virtuosa, il più delle volte, sono quelli di chi se li crea. Le mie origini vengono dal mare ma vivo in una terra circondata dalle montagne: o impari a scalarle o muori soffocato. Quindi ho creato Incontri di fotografia che per me non è solo una scuola ma un ‘contenitore di senso’ dove applicare diversi usi e pratiche alla fotografia: dalla didattica, all’editoria, a forme di crowdfunding indipendenti, agli eventi.
La parola d’ordine per me è sempre stata condivisione e anche Incontri di fotografia ce l’ha scolpita nel suo DNA.
2. Incontri di Fotografia enfatizza la creatività interdisciplinare. Come integri altre forme d’arte con la fotografia nei tuoi workshop e corsi?
Per me è naturale avere questo approccio perché fa parte della mia forma mentis anzitutto e in secondo luogo è dovuto alla mia formazione, tra le scienze umane e la musica, che si riversa poi nella mia ricerca. Il mio è un approccio aperto che adora trovare connessioni tra le discipline, perché ci sono, trovarle è conoscere sempre qualcosa in più, capire un po’ meglio e relazionarsi meglio, come insegna Alexander Von Humboltd. Ma lungi da me voler conoscere tutto! Se conoscessi tutto, posto che è impossibile, sarei finita, limitata e non voglio essere così. Mi sono laureata con una tesi sullo storytelling e studiarlo mi ha permesso questo approccio. Occuparsi di storie vuol dire conoscere la narratologia e anche il suo contrario, cosa è sperimentale e cosa no, approcciarsi a discipline diverse tante quante sono le storie e le modalità narrative. Incontri di fotografia sperimenta, guarda le classi che ha davanti e se è utile uscire dal programma di un corso portando meraviglia, scoperta e qualche sfida, ben venga, anzi, è auspicabile perché è auspicabile che un percorso sano aiuti le persone ad uscire dalla propria zona di comfort per conoscersi meglio e sviluppare il loro potenziale. Saper fare le foto è la cosa meno importante in un percorso formativo, non è ridabendo l’ovvio che si genere crescita nelle persone. Quando le persone scoprono questo approccio, interdisciplinare, sostenibile e umano, non tornano più indietro. Per alcuni è addirittura una sorpresa vedere che ci sono persone ‘umane’ in un sistema che di umano a quanto pare sembra offrire molto poco. Eppure l’arte nasce dagli uomini per gli uomini. Per me l’arte è una, ecco perché come artista e come tutor non ho problemi a mixare, preferisco offrire una visione laterale sulle cose o, se vogliamo, dall’alto perché dall’alto si vedono le strade.
3. Marco, come book designer, in che modo il tuo ruolo a Incontri di Fotografia contribuisce alla missione artistica ed educativa dell’organizzazione? Qual è il tuo processo quando si tratta di progettare libri fotografici?
Nel mio ruolo di book designer per Incontri di Fotografia, mi impegno a mettere a disposizione la mia esperienza per contribuire alla missione artistica ed educativa dell’organizzazione, cercando di elevare il lavoro su un piano contemporaneo. La mia priorità è quella di creare libri e supporti cartacei che siano in linea con gli standard delle migliori case editrici specializzate nel settore della fotografia, ma sempre con uno sguardo rivolto all’innovazione. Cerco di esplorare nuove soluzioni estetiche, prestando particolare attenzione alla scelta dei caratteri tipografici, spesso provenienti da fonderie indipendenti, che aggiungono un tocco di unicità e personalità a ogni progetto. L’uso di forme e colori non è mai casuale, ma viene accuratamente studiato per diventare parte integrante dell’identità visiva del3. progetto, contribuendo a renderlo immediatamente riconoscibile. Quando mi trovo a progettare un libro fotografico, il primo passo fondamentale è entrare in sintonia con l’artista o fotografo/a. È essenziale comprendere a fondo la loro visione, le emozioni che vogliono trasmettere e l’approccio che hanno verso il loro lavoro. Solo attraverso questa connessione posso dare vita a un progetto che rifletta autenticamente il messaggio dell’artista. A questo processo creativo, si aggiunge una riflessione pragmatica sulle risorse disponibili. Bisogna considerare la disponibilità finanziaria, il tipo di tiratura e le modalità di allestimento del volume. Ogni decisione va calibrata per trovare un equilibrio tra qualità estetica e sostenibilità economica, seguendo quella che potremmo definire una sorta di “economia circolare” del progetto editoriale. Questo approccio rispecchia la filosofia di Incontri di Fotografia, che promuove la creazione di prodotti culturali che siano in armonia con il contesto artistico, ma anche sostenibili nel lungo termine. In sintesi, il mio ruolo è quello di dare forma concreta a idee e visioni, lavorando con sensibilità sia verso l’artista che verso le sfide pratiche della produzione editoriale, al fine di creare libri che non solo documentano il lavoro fotografico, ma lo esaltano e lo collocano all’interno di una narrazione visiva coerente e contemporanea.
4. Anasuya, in qualità di assistente di produzione, svolgi un ruolo cruciale negli aspetti logistici e tecnici di mostre e pubblicazioni. Quali sono alcune delle sfide che affronti nel coordinare questi progetti e come riesci a superarle?
Fare da assistente a Valeria Pierini è già di per sé una sfida, (ride NDR), no, scherzo! Pero’ mi ricordo che i primi tempi quando iniziammo la nostra collaborazione, ma ancora oggi in realtà, spesso arrivavo nel suo studio e mi ritrovavo a dover star dietro a tutte le sue mille idee, progetti e collaborazioni varie, e riuscire a stare al passo di tutto non sempre è scontato, ma questa trovo sia la cosa bella di Valeria, un vulcano di idee, che è quello che caratterizza gli artisti d’altronde. Le sfide le troviamo ogni giorno, di vario tipo, ti faccio un esempio; ultimamente c’è stata la richiesta da parte di una cliente per la realizzazione di un leporello, il problema è sorto da parte della tipografia che doveva occuparsi della stampa di tale opera, il continuo controllare la situazione dopo un po’ è stancante ma necessario, ovviamente. Ti direi che gestire i componenti esterni di cui necessitiamo per portare avanti il nostro lavoro è la cosa più difficile ma allo stesso tempo soddisfacente. Quando hai quella forza di volontà che ti caratterizza allora niente ti ferma. Aggiungo che Valeria ha una capacità di organizzare e gestire tutto alla perfezione, il mio ruolo viene meno di fronte a tale dichiarazione.
5. Valeria, sostenibilità e circolarità sono principi fondamentali di Incontri di Fotografia. Puoi spiegare come questi valori influenzano il tuo approccio sia all’insegnamento che alla gestione dei progetti?
Incontri di fotografia nasce da me che in quanto artista mi trovo a ragionare su come funziona il presunto ecosistema economico in cui dovrei trovarmi ad operare. So che molti non si pongo la questione ma per me è naturale. Gli operai nelle fabbriche ad un certo punto hanno iniziato a farsi due domande sul mondo in cui operavano e sono nati i sindacati. Non capisco perché molti artisti o fanno finta di nulla o si fanno trasportare dalla corrente, una mentalità poco fertile, alienata se non da schiavo. Per me è una questione di sopravvivenza. Il mondo dell’arte molto spesso, come tutto il resto, è basato sull’ego del momento. Pertanto non può offrire stabilità, almeno non a tutti e non sempre. Siamo comunque tantissimi e il sistema ‘ufficiale’ da solo non può provvedere a tutti, specie se impostato in modo capitalistico: abbiamo visto che il capitale non è sostenibile quindi perché dovrebbe esserlo con l’arte? Quindi mi sono data degli obiettivi da raggiungere entro i 35 anni. Una volta raggiunti mi sono detta: se quel successo va e viene o va e non torna, io che faccio? Non mangio perché non risulto più interessante? Voglio fare fotografia per inseguire l’hype del momento o perché è la mia vocazione? Dato che anche nei momenti più bui anziché cercare tra gli annunci di lavoro mi ritrovavo ad occuparmi della mia arte ho capito che questa era davvero la mia vocazione, che avevo voglia di condividerla con gli altri e che quindi avevo bisogno di iniziare ad attuare pensieri e azioni che mi permettessero di stare al mondo, a prescindere dalla successo patinato o meno. Quindi ho realizzato collaborazioni, ho imparato a gestire i vari aspetti di questo lavoro. Dedicarsi al proprio percorso vuol dire questo e vuol dire ragionare anche in termini economici. Perché il sistema non è sostenibile, se lo finanziano i fotografi e dai miei studi economici mi risulta che non è un’operazione virtuosa se è l’idraulico che paga me per venire ad aggiustarmi i tubi di casa. La professione di artista ha delle skills che prescindono i mezzi creativi che si usano. Pertanto, quello che Incontri di fotografia propone, anche a chi vuole fare della fotografia la sua professione, nasce dai miei studi e dalle mie esperienze: aiutiamo i fotografi a pensare in modo economicamente virtuoso e sostenibile perché siamo troppo ricattabili. Qui è tutto un fare libri e super mostre ma tutti rimangono sconosciuti e senza entrate, allora tanto vale farlo pensando il libro o la mostra in un contesto di percorso come una tappa e non una meta, e farlo in modo etico, di modo da potersi guardare allo specchio ogni giorno, in modo virtuoso anzitutto pensandosi, creandosi la propria zona di genio dove proporre quel libro o quella mostra che devono essere figli di un percorso intellettuale e personale, no un qualcosa da dover fare per forza perché fa figo.
Dunque Incontri di fotografia aiuta i fotografi a pensare in maniera diversa a fare ma anzitutto a conoscere il proprio potenziale per poi riversarlo in atti adatti a loro. Non si tratta di instaurare lotte ma di sviluppare il genio di ognuno perché solo così può ricavarsi onestamente il proprio posto nel mondo. Ragioniamo sull’autoproduzione anzitutto partendo da quella vera che ci insegnano le controculture del ‘900 e cerchiamo di applicarla in chiave contemporanea, contestualizzando i progetti dei nostri corsisti nel sistema: abbiamo sponsor, troviamo crowdfounders, troviamo partners e come si posiziona quest’opera nel panorama contemporaneo, come posso essere virtuoso e circolare lavorando in indipendenza? Bada bene, i nostri percorsi sono di co-creazione noi aiutiamo i corsisti a sviluppare la propria forma migliore: i lavori più belli si costruiscono insieme, dove ognuno fa il suo percorso. Ed è questa la soddisfazione più grande perché ci riporta alla condivisione di cui parlavo prima.
6.Marco, quando progetti un libro per una mostra o il portfolio di un fotografo, cosa ritieni più importante nel trasmettere la visione dell’artista attraverso il formato fisico?
Quando progetto un libro per una mostra o un portfolio di un fotografo, ritengo fondamentale che il supporto fisico riesca a trasmettere in modo autentico la narrativa e l’approccio dell’artista al suo linguaggio visivo. Ogni aspetto del design, dal formato alla scelta della carta fino alla modalità di fruizione del libro, deve essere strettamente legato alla personalità e alla visione creativa dell’autore. Il mio obiettivo è creare un’esperienza che permetta al lettore di immergersi non solo nelle immagini, ma anche nell’essenza stessa del lavoro artistico, facendo in modo che il libro diventi una naturale estensione del processo creativo. Il design deve rispecchiare la poetica dell’artista, valorizzando il suo messaggio in ogni dettaglio e creando un equilibrio armonico tra forma e contenuto.
7. Martina, con il tuo ruolo sia nella produzione che nella gestione video, come vedi i video e le immagini in movimento come complemento alla natura statica della fotografia? Qual è il tuo approccio nel fondere questi due mezzi?
Il mio approccio nel mettere insieme le foto e le immagini lo definirei come un flusso, racconto ciò che vedo come lo vedono i miei occhi, non faccio altro che fare uno storytelling. Credo che questo dia in un certo senso vita e movimento alle immagini, sequenzialità ma senza banalità, niente è scontato, ci deve essere sempre un pizzico di originalità e poetica
8 Tutti e quattro apportate abilità uniche alla squadra. Come collabori in modo creativo per sviluppare nuovi corsi, workshop o progetti? Puoi condividere un esempio di una recente collaborazione che è stata particolarmente di impatto?
Valeria: Ogni membro del team ha un ruolo unico che è dovuto alle sue capacità e professionalità. Viviamo tutti in Umbria ma solo Anasuya è vicino a me, pertanto lavoriamo sia in back office che dal vivo. Ho sempre voluto avere un team così strutturato e quando la vita mi ha offerto questa possibilità sono stata contenta perché ho capito che il mio progetto poteva espandersi e quindi lavorare ancora meglio. Una volta impostato il lavoro mi piace che ognuno porti il suo genio nelle cose, è lo scopo che desidero raggiungere e vedere i progressi che ognuno fa è una gioia. Tra le ultime collaborazioni che col team abbiamo realizzato c’è stata quella per il crowdfunding di Stefano Sbrulli, o la collaborazione con Officina Imagination Lab di Monteleone D’Orvieto e lo studio tessile di Hallo Wasabi che mi ha permesso di iniziare la mia nuova ricerca artistica e il relativo crowdfunding attraverso una mostra e la realizzazione dei libri d’artista in palio per i collezionisti che partecipano, i quali possono usufruire dei documentari realizzati da Martina riguardo al backstage di questa mia opera, conoscendo cosa vanno a finanziare. Ogni progetto non è di una persona sola ma di chiunque lo partecipa. Si torna alla condivisione, quindi. Anasuya: Si, ognuno di noi porta quel piccolo tassello utile per completare la squadra. Non capita spesso che siamo attivi tutti insieme nello stesso progetto, ma io ho la fortuna di essere sempre presente nella coordinazione delle cose e devo dire che la squadra che vince non si cambia, siamo tutti coordinati molto bene e lavoriamo altrettanto bene insieme.
9 Quali sono stati i vostri personali percorsi individuali nella fotografia e come si sono evoluti in una ricerca professionale? Cosa continua ad ispirarti nel tuo lavoro oggi?
Valeria: ho avuto modo di seguire e conoscere molti artisti durante i primi anni in cui mi approcciavo alla fotografia professionale. Questo mi ha permesso di avere una conoscenza diretta quanto eterogenea di quello che è il mondo dell’arte, cosa che nessuno ti spiega o pochi lo fanno nei contesti formativi ‘canonici’ e che anche molti colleghi, a volte, non possiedono. Da una parte è stata una fortuna essere introdotta a queste conoscenze, dall’altra parte ho dovuto processare da sola i nodi del sistema perché nessuno me ne ha parlato e credo che il motivo sia per quello che dico sopra: molti artisti non si pongono domande ma seguono le cose così come sono. Ecco, per me è arrivato il momento in cui ho dovuto diventare sindacalista di me stessa! (ride, NDR). Sono cose che mi hanno portato dentro le differenze tra il lavoro amatoriale e professionale. Con Incontri di fotografia la mia ispirazione è aiutare le persone a costruirsi un percorso – amatoriale o professionale – che comporti una consapevolezza, una crescita, uno spazio sacro che permetta di evolversi e portare i propri contenuti e stili, che aiuti le persone ad interfacciarsi nel mondo artistico anche con skills che non sono solo fotografiche: la mia formazione eterogenea mi permette di aiutare le persone attraverso percorsi diversi e multiformi; insomma, trasmettere la mia esperienza perché possa essere utile agli altri, perché vedo la trasformazione che comporta. Come artista mi ispira quanto detto sopra: approfondire le materie che mi interessando restituendo le mie ricerche attraverso la fotografia. Quando le persone acquistano le mie opere e soprattutto quando tornano a farlo e si instaura quel legame grazie al quale conosco i loro gusti e vedo il piacere che hanno nel partecipare il mio lavoro…beh, anche qui si torna alla condivisione! Quindi posso dire che le storie che racconto col mio lavoro proseguono creando nuove connessioni ed è pura gioia.
Anasuya: Dopo la mia laurea in fotografia ero particolarmente indecisa sul mio futuro professionale, ho iniziato poi a comprendere quelle che sono le mie capacità e il mio stile fotografico e soprattutto in che direzione voglio evolvermi, mi ritengo un’artista, l’evoluzione è inevitabile. Valeria è sicuramente stata un punto di appoggio per aiutarmi a comprenderlo, anche perché mi ha portata a capire l’importanza di seguire quello che realmente voglio fare e non fare per forza quello che è giusto. Ad oggi mi sento di dire che ancora non sono arrivata lì dove voglio essere, ma so esattamente in che direzione andare.
Martina: il mio viaggio personale nella fotografia inizia dal liceo quando ho scelto l’indirizzo audiovisivo e multimediale, poi continua all’interno dell’accademia di Belle arti in cui parallelamente al corso di cinema ho seguito anche il corso di fotografia scoprendo tutto il fascino della camera oscura. Ad oggi posso dire che sono cresciuta tanto dal punto di vista professionale e la fotografia la uso per raccontare, non a caso sto facendo un censimento sulla popolazione di Allerona in cui appunto ogni persona viene fotografata in modo tale da raccontare sì la persona stessa ma anche tutto il paesaggio che la circonda.
10 Come vedi evolvere il futuro di Incontri di Fotografia? Ci sono progetti o collaborazioni imminenti di cui sei particolarmente entusiasta?
Valeria: Ho delle idee che cerco di portare avanti giorno per giorno. Non dirò come immagino il futuro o come lo desidero se non che auspico che ognuno di noi possa trovare il suo posto nel mondo dove poter portare agli altri il suo genio. Sì, abbiamo cose in cantiere con Forog Gallery di Messina, come anche la collaborazione con Immagini in movimento che ci rendono felici, o il coordinamento di ‘Alleronesi’, il censimento che la nostra Martina sta realizzando sul suo paese, Allerona e del quale faremo il libro e una mostra finale.
11 Che tipo di impatto speri che Incontri di Fotografia abbia sulla comunità artistica locale e nazionale, soprattutto in termini di promozione di un approccio più sostenibile e interconnesso alla fotografia?
Valeria: ho lavorato molti anni, almeno fino a prima della pandemia, sul mio territorio, sia con Incontri di fotografia che come artista coi miei progetti, realizzandone numerosi dedicati all’Umbria. Sebbene penso che un artista non debba sperare di operare solo a casa sua, anzi, non auspico risultati particolari nella mia zona, perché non mi sembra molto virtuosa. Vorrei che la vita mi smentisse e sono pronta ad esserlo ma la realtà è che dopo aver dato tanto al mio territorio, a volte grazie anche a rare collaborazioni virtuose, ho solo interesse a fare il mio lavoro, prescindendo dal luogo. Come dicevo sopra l’Umbria è una terra circondata dai monti e io ho scelto di non esserne soffocata o di non morire ignorata non per ego ma proprio per necessità di sopravvivenza. Penso che un’artista debba operare dove trova modo di farlo perché questo vuol dire che il luogo può fare qualcosa per l’artista e viceversa. Questo vale sia per il mio lavoro artistico che per Incontri di fotografia, in entrambe le direzioni lavoro con persone in tutto il territorio nazionale e quello che auspico è solo poter far bene il mio lavoro laddove ce ne sia bisogno, voglia di ascoltare e condividere ed evolversi. Del resto, ognuno ha la propria audience, come è giusto che sia, perché è solo lavorando con le persone giuste per noi che possiamo co-creare al meglio delle nostre possibilità, fermo restando che le difficoltà sono la palestra che ci prepara a questo.
12 Che consiglio daresti ai fotografi e agli artisti emergenti che desiderano entrare nel mondo professionale rimanendo fedeli alla loro visione creativa?
Valeria: Di lavorare sul coraggio delle proprie idee, a costo di risultare scomodi, purché siano consapevoli di chi sono perché ognuno è unico e non se ne può più di vedere piccoli emuli del proprio maestro; che siano gentili e che se fanno questo lavoro solo per la gloria bramata dal proprio ego hanno il dovere sociale di cambiare strada. Non c’è bisogno di lottare contro ma di lavorare ‘per’ e ‘con’, è così che si creano nuovi ecosistemi. Consiglio di studiare e leggere e conoscere, sempre, perché la fotografia che facciamo riflette come pensiamo, chi siamo. E un contenitore vuoto non può fare fotografie perché non ha visioni e idee del mondo da sottoporre prima a sé stesso e poi al mondo. Per ultimo, consiglio anche di acquisire una formazione finanziaria di base ché nelle scuole o in sede formativa nessuno insegna. Spesso si fa l’errore di pensare prima all’arte (sacrosanto) ma ci va abbinata tutta una serie di conoscenze fondamentali per quando si va a strutturare e fare attivamente il proprio business e soprattutto sono fondamentali quando l’istinto di sopravvivenza e la paura del futuro busseranno ciclicamente alla porta.
Guarda l’articolo su Barbagelata Contemporary Art Foundation.
Tutte le foto sono di Anasuya Pless
Copyright Statement:
All rights reserved. No part of this document may be reproduced, distributed, or transmitted in any form or by any means, including photocopying, recording, or other electronic or mechanical methods, without the prior written permission of the artist or the gallery representing them.
For permissions or inquiries regarding the use of this documentation, please contact www.barbagelata.org.
Copyright © 2024, Barbagelata Contemporary Art Foundation. All rights reserved.